DEBUTTO: 2 OTTOBRE 2003 - TEATRO DEHON - BOLOGNA

TEATROAPERTO/TEATRO DEHON
Teatro Stabile dell’Emilia-Romagna

LA CENA DEI CRETINI

di Francis Veber

regia di Guido Ferrarini

assistente alla regia Alessandro Fornari
scene di Fabio Sottili
costumi di Renata Fiorentini
luci di Marco Manfredi
fotografo di scena Gino Rosa
organizzazione Tiziano Tommesani

con
ALESSANDRO FORNARI:   FRANCOIS PIGNON il cretino
MARCO MANFREDI:  PIERRE  il padrone di casa
ALDO SASSI:    CHEVAL impiegato alle imposte
SANDRA CAVALLINI:   MARLENE spasimante di Pierre
ELISA DUCA:   CHRISTINE  sua moglie
ANDREA ZACHEO:   ARCHAMBAUD reumatologo
LORENZO SPIRI:   LEBLANC amico di Pierre

 

La commedia narra di un gruppo di amici che organizza una cena dove ognuno deve portare il più cretino che trova. Il loro imperativo è superare la monotonia e il tedio quotidiano. Per qualche ora di puro divertimento farebbero qualsiasi cosa. E in parte già la fanno. Si sono inventati un rituale tutto loro: la cena dei cretini. Pierre Brochard e i suoi fidati amici hanno escogitato un principio molto semplice, in grado di assicurargli, almeno una volta alla settimana, grasse risate liberatorie. Si tratta sostanzialmente di questo: invitare a cena un perfetto cretino, una di quelle persone idiote da beffeggiare per la strada. E c'è pure un premio in palio: lo vince chi riesce a portare l'idiota totale. Il mercoledì diventa così un appuntamento irrinunciabile. E questa volta Pierre è fuori di sé dalla gioia. Ha stanato una persona che potrebbe assicuragli il premio. Il cretino in questione si chiama Francois Pignon ed è un oscuro contabile del Ministero delle Finanze. Uno il cui unico svago è la costruzione di oggetti di ogni sorta composti esclusivamente da fiammiferi. Il campione mondiale dell'idiozia! Ma Pierre non può sapere cos'altro nasconde il cretino della serata: non può neanche immaginare che Pignon ha l'inquietante potere di attirare su di sé e su chi lo circonda le peggiori sventure... La storia in sé stessa è semplice e si rifa a un tipo di intrattenimento cui erano soliti, e probabilmente lo sono ancora, i ricchi annoiati che per sentirsi sempre superiori organizzavano delle feste o delle cene, come in questo caso, in cui ogni membro del gruppo doveva portare un qualche emarginato o soggetto particolare. In questo caso l'oggetto della cena è il "cretino", o colui che sia diverso dalla gente cosiddetta comune, sia negli atteggiamenti che nel vivere sociale.

Dei parigini "bene" organizzano "cene" settimanali dove ognuno di loro si fa accompagnare da un idiota scelto accuratamente, alle cui spalle si trascorrerà una divertente quanto amabile serata.

Essere o apparire?

Parafrasando Flaiano è certo vero che la mamma dei cretini è sempre incinta... e allora perché non rendere una cena esilarante, divertendosi con uno di questi signori? Sarà così utile almeno a qualcosa, illudendosi di potersi Ma non è così in questa commedia gustosa ed elegante. Il signor François Pignon, funzionario del ministero delle finanze che ha come hobby costruire modellini con i fiammiferi, è sopra ogni cosa, un guastafeste, un menagramo, a tal punto che riesce a ribaltare la situazione passando, per così dire, da vittima a carnefice, creando una serie di problemi al suo potenziale anfitrione, giungendo a mettergli in crisi il matrimonio in un crescendo di gaffes, gags e malintesi veramente divertenti.

Il regista riesce con eleganza ed ironia a costruire un film divertente, malinconico e crudele allo stesso tempo, coadiuvato dall'impeccabilità degli interpreti, rendendolo veramente godibile e facendoci ridere e sorridere intelligentemente, come non capitava da tempo.

La cena dei cretini è un meccanismo ad alta gradazione di perfidia. Francis Veber, ossia l'autoreferenzialismo al lavoro, è dai tempi dell'infausto La capra che s'interessa alla funzione destabilizzante del cretino nella società occidentale. Sull'argomento l'economista Carlo Maria Cipolla, in Leggi fondamentali della stupidità umana (edito da Il Mulino), ha scritto: "lo stupido non sa di essere stupido.

Ciò contribuisce potentemente a dare maggior forza, incidenza ed efficacia alla sua azione devastatrice. Lo stupido non è inibito da quel sentimento che gli angloamericani chiamano self-consciousness.. Col sorriso sulle labbra, come se compisse la cosa più naturale del mondo, lo stupido comparirà improvvisamente a scatafasciare i tuoi piani, distruggere la tua pace, complicarti la vita e il lavoro, farti perdere il denaro, tempo, buonumore, appetito, produttività e tutto questo senza malizia, senza rimorso e senza ragione. Stupidamente". Eppure Veber che non è certo cretino, sa mediare cadute di gusto che possono intaccare il découpage come le corna coniugali. Una regia la sua certo fondata sul paradosso: suggerisce azioni che rimangono inespresse. La cena dei cretini allegorizza infatti la mancanza. Questa si ritorce contro chi la concepisce come il boomerang, per centrare il cretino che l'ha lanciato. E il primo a farne le spese è l'editore. Tenuto prigioniero come il cretino Pignon dall'unità aristotelica di luogo, che poggia sulla sua casa appariscente, è un cinico cacciatore di idioti che si ritrova immobilizzato da un incidente, e dunque non può partecipare fisicamente al feroce convivio. Un carnefice che oltre a subire la mancanza del rito borghese, deve espiare le colpe affidando interamente la vita sentimentale alla sua vittima.

Questo è definito ad un certo punto dall'antagonista "il vendicatore di tutti i cretini del mondo". Della cena vera (non il pasto frugale consumato dall'ispettore del fisco) viene mostrato solo l'antefatto, quando il patito dei boomerang stressa i commensali in procinto di sedersi a tavola. Certo rispetto alle cene mancate de’ Il fascino discreto della borghesia è sicuramente un surplus aggiuntivo. Eppoi è consumata fuori campo, perché un altro correlativo sintattico della manchevolezza è l'ellissi. La negazione si impone così definitivamente: il non- ritorno della compagna di Pierre per la logorrea di Pignon. Il non-adulterio della donna, che sottende quello reale della moglie dell'ispettore con un gioco delle apparenze come vuole ogni pochade coi fiocchi. Oppure le false intimidazioni lanciate al telefono per interposta persona da Pignon, che minaccia gli amanti di un'imminente spedizione punitiva ai loro danni. Tutte situazioni sussurrate che fanno di questo teatro dell'assurdo, uno scontro esteriorizzato rifratto nella crisi occidentale dei valori.

La cena dei cretini non fa mistero delle proprie origini: l'unità di luogo (l'appartamento di Brochard come spazio quasi esclusivo della vicenda) e l'unità di tempo (tutto in una serata) sono sostanzialmente rispettate. Nel meccanismo narrativo orchestrato da Veber v'è qualcosa - la costruzione incalzante ed "esatta" dell'intreccio, il tono brioso e felicemente ironico, la malizia dei dialoghi - che può anche ricordare la tradizione vaudeville (è stato fatto, a ragione, il nome di Feydeau). Si tratta di un meccanismo giocato sull'accumulazione, su quella che Giorgio Cremonini definisce "progressione dell'instabilità", dove ogni nuovo intervento del cretino (il personaggio disorganico, chiamato a portare il caos in un universo ordinato e armonioso) viene a risolversi inevitabilmente in una catastrofe che assume proporzioni via via crescenti e sempre più incontrollabili e devastanti, apocalittiche. I casi comici, prendendo l'avvio da una situazione tradizionale (l'irruzione incongrua dell'elemento imprevedibile in un contesto col quale non ha nessuna attinenza), si sviluppano attorno al classico motivo dell'equivoco. Questo potrà essere basato sull'espediente dello scambio di persona (François che scambia la moglie di Brochard per l'amichetta ninfomane, con le conseguenze che è facile immaginare) o sul gioco verbale (i nomi di alcuni personaggi che si aprono a più significati). Ma la dabbenaggine del protagonista, la sua dissociazione dall'ambiente entro cui si trova ad agire, si misura soprattutto nel rapporto ambiguo che egli instaura con gli oggetti. Il telefono in special modo diviene lo strumento privilegiato attraverso cui il personaggio può scatenare tutta la propria foga distruttiva.

Altra figura d'obbligo della tradizione del comico è quella dell'inversione dei ruoli. In questo caso, assistiamo al rovesciamento del rapporto oppressore/vittima. Brochard che, con ostentato cinismo, si era riproposto di offrire ai suoi amici alto-borghesi lo spettacolo di quel cretino coi fiocchi ("Che male c'è a sfottere un coglione? Sono fatti per questo!", dopo il colpo della strega che lo coglie mentre sta giocando a golf (simbolico disvelamento della sua impotenza a controllare gli accadimenti?), si trova all'improvviso, di fronte al suo ospite, in una situazione di inferiorità fisica. Forzato dalle circostanze a ricorrere all'aiuto di François, e illudendosi tuttavia di poterlo ancora manovrare a proprio piacimento, egli si lascia tentare, incautamente, a discoprire le pulsioni negative che il cretino sembra possedere in abbondanza. Scoprirà troppo tardi di aver messo in moto un ingranaggio perverso, congegnato secondo logiche distorte e lunari, dove, sconvolto ogni ordine consequenziale, c'è palese incongruenza e contraddizione tra il comportamento del personaggio e gli obiettivi che lo stesso si propone di conseguire, sicché i risultati degli sforzi non discendono affatto dalla volontà di chi li compie (per quanto costui sia animato dalle migliori intenzioni). Così quando François telefona all'ex-amante di Christine per cercare di sapere se la donna è con lui, egli si cala totalmente nella parte del produttore tedesco che si finge di essere, e si preoccupa soltanto di ottenere a condizioni favorevoli i diritti di un romanzo. Allo stesso modo, la richiesta di aiuto che, a nome di Brochard, egli rivolge all'amico Lucien, l'ispettore fiscale, trova un improvviso intoppo allorché quest'ultimo impone a lui, accanito tifoso dell'Auxerre, di inneggiare per un'altra squadra di calcio.

Brochard, che manifesta ormai un'evidente sudditanza psicologica nei confronti del suo ospite, giungerà infine ad accettarne la presenza pervasiva con una sorta di sconsolata, masochistica rassegnazione. Intanto il suo lussuoso appartamento - scenografia raffinata, ideata a rappresentare la presunta superiorità intellettuale e sociale del suo proprietario - privato dei suoi quadri d'autore e degli altri oggetti di pregio, si è trasformato in un luogo sinistrato: il correlativo oggettivo esatto del cumulo di rovine che è diventata l'esistenza del protagonista. L'altro, il cretino, il povero fesso privo affatto di intelligenza, ma pieno di candore e di buon cuore, lui, capace di portare lo sconquasso ovunque metta le mani, si è rivelato nondimeno un elemento sanamente destabilizzante, in grado di sommuovere le sicurezze granitiche e la presunzione cialtronesca dell'editore: "Ha fatto pulizia nella sua vita", potrà dire di lui verso la conclusione della commedia.

Sarà François, dunque, una volta lasciato libero di fare a modo suo, e senza più essere imbeccato da altri, sarà proprio lui a saper trovare le giuste parole da dire a Christine per convincerla a ritornare dal marito, che comunque ancora le vuole bene. E' il momento del trionfo (ingannevole) dei buoni sentimenti; la scena della ricomposizione (provvisoria) dei contrasti. In realtà, la piena conciliazione delle tensioni, il ritorno ad un ordine garantito dall'equilibrio e dalla stabilità, risultano ormai improponibili. Il conflitto non può avere soluzioni accomodanti, rassicuranti.

Il delizioso colpo di coda finale consentirà allora di sbeffeggiare il rituale conclusivo dell'happy end e di restare al di qua di ogni moralismo posticcio. Sarà sufficiente un nuovo gesto inconsulto del povero imbecille, basterà una sua parola di troppo, e l'armonia così faticosamente riconquistata tornerà ancora a lacerarsi, mentre il cretino potrà riaffermare, clamorosamente, le proprie ragioni, la propria inesausta, incontenibile e parossistica energia distruttiva.


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